Non appena il medico di base scopre che un paziente è iperteso prescrive l'assunzione di un farmaco anti-ipertensivo, una "pillola" che accompagnerà inevitabilmente, nella maggioranza dei casi, il paziente, per tutta la vita.E dato che esistono molti farmaci antiipertensivi, che agiscono in modo diverso l'uno dall'altro, spesso il paziente diventa una sorta di "cavia", se uno non funziona, ne proviamo un altro...

Non ho ancora trovato un medico che, dopo un riscontro anche occasionale, si domandi "perchè a questo paziente si è alzata la pressione?" Nella migliore delle ipotesi la causa viene attribuita allo "stress", capro espiatorio di tutti i mali della nostra vita...

Un aumento pressorio è invece il primo campanello d'allarme che deve far pensare, prima di tutto, ad un'insulino resistenza: una persona introduce con la dieta dei carboidrati, più o meno raffinati, cioè dolci, ma anche pane, pasta, riso etc..Il suo organismo produce l'insulina, ormone che metabolizza tali zuccheri, permettendo la loro entrata in circolo; ma se c'è un 'insulino-resistenza, cioè se i recettori per l'insulina non sono disponibili, questa rimane in circolo e i carboidrati si depositano come grassi. Il paziente ingrassa, pur mangiando relativamente poco. I livelli di glicemia risultano elevati, inizia una glicosilazione proteica, inizia una Sindrome Metabolica, che porterà il paziente ad un elevato rischio di malattia cardiovascolare, i momenti terminali della quale sono l'ictus o l'infarto miocardico.

Interrompere questa catena, ricercando prima di tutto un'insulino-resistenza e, quando presente, curandola, riporta la P.A. nella norma, e impedisce che la malattia vascolare s'instauri. Curare un paziente vuol dire GUARIRLO dalla sua patologia, non eliminarne i sintomi!