Manifestazioni extra intestinali della celiachia

La celiachia è una malattia sistemica autoimmune caratterizzata da un’anomala risposta immunitaria all’ingestione del glutine, una proteina del grano, in soggetti geneticamente predisposti.

Spesso la malattia si manifesta con una serie di sintomi e patologie apparentemente non ricollegabili alla celiachia stessa, ma che sono ampiamente riconosciute dalla medicina come sue manifestazioni extra-intestinali.

Le più comuni tra queste sono:


. Dermatite herpetiforme

. Tireopatie autoimmuni

. Diabete tipo I

. Stomatite aftosa ricorrente

. Infertilità e/o aborti spontanei

. Infezioni genito-urinarie

. Neuropatie periferiche


Sebbene le manifestazioni neurologiche di pazienti con malattia celiaca confermata siano state riportate già dal 1966, solo recentemente è stato accettato il concetto di manifestazioni neurologiche extra-intestinali come unico sintomo, senza enteropatia concomitante (1)


Scopo di questo lavoro è la verifica di possibili correlazioni esistenti tra malattia celiaca e patologie oculari, poiché spesso arrivano alla nostra osservazione pazienti con patologie oculari, anche gravi, per lo più adulti, ai quali poi, in seguito all’anamnesi, si scopre una celiachia insospettata; la terapia di quest’ultima è spesso determinante nel miglioramento nonché guarigione, a volte, della sintomatologia oculare.



Da una revisione della letteratura internazionale le patologie oculari più frequentemente associabili alla malattia celiaca sono:

1) Cheratite

2) Uveite

3) Cheratocono

4) Cataratta

5) Neuromielite ottica


1) LA CHERATITE


Cheratite è il nome generico di infiammazione della cornea, sia acuta che cronica. Questa rappresenta una minaccia per la vista, a causa del rischio di opacizzazione, cicatrici e perforazione corneale. A seconda della causa e gravità della cheratite, i rischi variano da nessuno alla cecità. In assenza di trattamento la cheratite può degenerare in ulcera corneale.


Sintomi:

• arrossamento della congiuntiva

• infiammazione dell'occhio, la cornea diventando torbida e poco vascolarizzata

• dolore acuto

• lacrimazione intensa

• visione “annebbiata”

• fotofobia




La cheratite può essere di origine microbica (Chlamydia Trac.), virale ( Adeno, Citomegalo e Herpes virus), fungina, traumatica, da irritazione dopo un uso prolungato di lenti a contatto, o a causa di intensa esposizione alla luce ultravioletta, oppure essere associata a malattie sistemiche, come la sindrome dell'occhio secco, o carenza di vitamina A, legata a malassorbimento.

La vitamina A (retinolo) si assimila con la dieta ed è indispensabile per il mantenimento dell’integrità dell’epitelio superficiale della cornea.

In caso di celiachia s’instaura un quadro di cheratomalacia, con ulcere corneali, che riepitelizzano solo dopo l’introduzione di vit.A con la dieta, e con eventuale supplementazione intramuscolo (2)


CASE REPORT:


Una bimba di soli due anni viene alla nostra osservazione affetta da una grave forma di cheratite bilaterale, con hypopion e ulcere corneali recidivanti. La piccola era stata visitata da illustri colleghi Oftalmologi, ma l’unica diagnosi fatta “keratite idiopatica” non aiutava certo a risolvere il problema e, in quanto a terapie, l’uso continuo di cortisone e antibiotici allarmava alquanto i genitori, che temevano, giustamente, gli effetti collaterali a lunga distanza.

Una ricerca sull’HLA della bambina, B8, DR3, DQ B1*02, non lasciava dubbi sulla sua predisposizione alla malattia celiaca; la negatività degli anticorpi anti gliadina e anti transglutaminasi deponeva per un’intolleranza al glutine.

Contro il parere della pedriatra, ma con il consenso dei genitori, la bimba è stata messa a dieta aglutinata. E’ stata instaurata, contemporaneamente, una terapia con Ammonium Carbonicum, dato l’elevato titolo anticorpale anti CMV IgG.

I risultati sono stati pressoché immediati, i sintomi sono andati progressivamente migliorando, fino alla loro totale scomparsa nell’arco dei sei mesi successivi.



1) UVEITE


Le uveiti sono infiammazioni che interessano le diverse strutture che compongono l'uvea, ovvero la tunica vascolare dell'occhio; procedendo in senso antero-posteriore, l'uvea è costituita dall'iride, dal corpo ciliare e dalla coroide.


A seconda della struttura uveale che viene interessata dal processo infiammatorio, si distinguono quattro classi principali di uveiti:

1. Uveiti anteriori: comprendono le infiammazioni dell'iride (iriti), del corpo ciliare (cicliti) o di entrambe le strutture (irido-cicliti).

2. Uveiti intermedie

3. Uveiti posteriori


Sintomi:

I sintomi e i segni di uveite sono diversi a seconda della sede che viene interessata:

• Uveiti anteriori: occhio rosso (tranne che nelle forme pediatriche in cui l'occhio è bianco), dolore (accentuato dall'accomodazione e lettura), visione appannata, forte fotofobia (fastidio alla luce) e lacrimazione riflessa.


. Uveiti intermedie: la sintomatologia si arricchisce con la visione di macchie scure

mobili (miodesopsie), e l'occhio che spesso mostra dall'esterno minimi segni di

infiammazione (poco o nulla rosso).


• Uveiti posteriori: visione annebbiata, macchie mobili, possibili flash luminosi (fotopsie), acuità visiva ridotta, fotofobia; in genere l'occhio è bianco e non c'è dolore.


Le cause di uveite sono numerosissime e molto spesso difficilmente identificabili.

Una classificazione di tipo etiologico è la seguente:

• Uveiti infettive (tubercolosi, sifilide, herpes, da HIV, toxoplasmosi, rosolia, funghi ecc.)

• Uveiti associate a malattie reumatiche (spondilite anchilosante, artrite reumatoide, lupus)

• Uveiti da cause immunitarie (malattia di Behçet, sarcoidosi, m. di Harada ecc)


E’ stato trovato un aumentato rischio di uveite in casi di malattia celiaca (3), e numerosi casi di uveite come manifestazione di celiachia, con completa remissione dei sintomi da due a sei mesi di dieta priva di glutine (4)(5)

L’uveite nei bambini è molto rara, 3%-8% di tutti i casi; di questi una significativa percentuale è affetta da sindrome di Behçet, sostenuta da predisposizione genetica HLA B51, caratterizzata dalla classica triade uveite- ulcere oro/genitali- eritema nodoso (6), a sua volta molto spesso correlata ad una malattia celiaca (7)(8).


CASE REPORT:


Una paziente di 40 anni affetta dal 2001 da iridociclite ad OD, diventata dopo quattro anni bilaterale, giunge alla nostra osservazione.

Numerosi ricoveri ed accertamenti non avevano saputo trovare una possibile etiologia, e la paziente aveva una pessima qualità di vita, non potendo sottoporsi a nessun tipo di sforzo fisico senza lo scatenamento di una crisi.

Quest’ultima era molto caratteristica: iniziava con un dolore puntorio, “come un chiodo conficcato” a livello della scapola, che poi risaliva, come una contrattura muscolare, alla testa, e iniziavano i classici sintomi dell’UAA (Uveite Anteriore Acuta), infiammazione, arrossamento, fotofobia, dolore intenso.

Dall’insorgenza della patologia l’unica terapia prescritta era stata cortisone collirio e farmaci cicloplegici.

Nell’anamnesi, colichette gassose nell’età infantile, ciclo molto doloroso, frequenti cistiti e vaginiti, gonfiore addominale e alvo diarroico, ci hanno orientato subito verso una possibile malattia celiaca, non confermata, purtroppo dall’esame dell’HLA.

Gli alleli DQ2 e DQ8, secondo il laboratorio, erano assenti.

Data la concomitante dispepsia, con positività al Western Blot per l’Helicobacter P. delle citotossine CagA e VacA, si è iniziata una terapia con Kalium C., con notevoli miglioramenti, sia digestivi che oculari. Le crisi si erano diradate, la paziente riusciva a sopportare il dolore meno intenso senza collirio cortisonico, ma erano pur sempre presenti.

Una successiva ricerca di anticorpi antinervo aveva dato esito positivo agli anti Gangliosidi GM1 IgM. L’assunzione di Mercurius sol. all’insorgenza di ogni crisi, risolveva i sintomi prontamente. La paziente era contenta, la sua qualità di vita era complessivamente migliorata, ma la sintomatologia ritornava, seppur più raramente.

Si è quindi richiesta una tipizzazione genomica ad alta risoluzione che stavolta ha confermato, con la presenza del DR4, DQB1*03 01, la celiachia.

L’introduzione di una dieta priva di glutine ha portato ad un cambiamento decisivo, una sensazione di “benessere” e di “energia” immediate e la completa risoluzione della patologia oculare che oggi, a distanza di 9 mesi, si mantiene inalterata.




3) CHERATOCONO:


Il cheratocono (KC, etimologicamente: cornea conica) è una malattia degenerativa della cornea, legata a una debolezza strutturale di origine tutt’ora oscura.

Anomalie di metabolismo delle cellule corneali, i cheratociti, li renderebbero incapaci di organizzare i fisiologici rapporti tra le fibre collagene e le lamelle, di cui è costituito lo stroma corneale, le quali, scivolando le une sulle altre, provocano una deformazione più o meno asimmetrica della superficie ottica corneale (in genere un astigmatismo miopico irregolare) che riduce progressivamente la capacità visiva

Un’eccessiva elasticità e un’alterata resistenza biomeccanica sono la base del processo di sfiancamento e assottigliamento progressivo del tessuto corneale nel KC, definito ectasia, che cede sotto l’azione della pressione intraoculare, del peso e della dinamica palpebrale.


Ancora sono sconosciute le cause che portano a questa anomalia. Si presume che ci sia un’eredo/familiarità, per la presenza della malattia in più componenti di una stessa famiglia, ma l’etiologia rimane oscura.

E’ però stata ipotizzata una probabile etiologia autoimmune, per la forte associazione, statisticamente rilevante, con Artrite Reumatoide, Colite Ulcerosa, Tiroidite di Hashimoto, Asma e IBD (9).


4) CATARATTA:


Per cataratta si intende l’opacizzazione del cristallino, la lente naturale interna all’occhio, che provoca l’annebbiamento progressivo della vista.


Il cristallino, normalmente trasparente, tende a diventare opaco per fenomeni di ossidazione delle proteine costituenti il suo tessuto. In un occhio sano la luce attraversa il cristallino trasparente e raggiunge la retina: la focalizzazione è normale e il cervello percepisce immagini nitide.


In un occhio affetto da cataratta, il cristallino opaco arresta parzialmente il passaggio dei raggi luminosi che vengono deviati in più direzioni: ciò impedisce la normale focalizzazione sulla retina e la percezione delle immagini risulta confusa (fig.2).

Sebbene la cataratta sia, solitamente, un tipico effetto dell’invecchiamento, il cristallino, morbido, flessibile e trasparente, comincia ad indurirsi e a cambiare colore quando l’uomo raggiunge la mezza età, non sono ancora certe le cause della patologia in età giovanile.

Essa può insorgere anche:

• nei pazienti diabetici;

• in persone che hanno fatto uso prolungato di farmaci come il cortisone, il cordarone, i chemioterapici;

• in seguito a ferite o a traumi oculari gravi;

• in persone affette da altre malattie oculari;

• in seguito ad una eccessiva esposizione ai raggi solari.

L’aumentato rischio di sviluppare una cataratta in persone affette da celiachia (10), ampliamente documentato da studi su una popolazione di 28.000 pazienti (11), fa desumere che l’ipovitaminosi A e C, dovuta al malassorbimento, ne sia la causa maggiormente imputabile (12) (13) (14) (15)


5) NEUROMIELITE OTTICA:


La malattia di Devic o neuromielite ottica (NMO) è una grave e rara forma di malattia demielinizzante ad esordio acuto e decorso rapidamente ingravescente che colpisce il nervo ottico e il midollo spinale.

Benché le lesioni tipiche della malattia di Devic somiglino a quelle osservate nella sclerosi multipla, queste due entità devono essere distinte da un punto di vista patogenetico e prognostico-terapeutico. Infatti, la malattia di Devic si caratterizza per la presenza, nel siero dei pazienti, di auto-anticorpi diretti contro l'acquaporina 4 (chiamati per questo anticorpi anti-NMO o NMO IgG) (16).

L'acqua, è una molecola polare e grazie a questa sua proprietà chimico-fisica, diffonde difficilmente attraverso le membrane biologiche.

Affinché l'acqua possa attraversare una membrana, è necessaria la presenza di canali proteici specifici per il trasporto dell'acqua. Tali canali sono chiamati acquaporine. L’acquaporina 4, nella fattispecie, è la proteina presente a livello della retina.


I ricercatori dell’Università di Bari sono riusciti ad individuare qual è la porzione della proteina riconosciuta e attaccata dagli anticorpi presenti nei pazienti (17).

Lo studio di questi epitopi ( aa1–22 [MSDRPTARRWGKCGPLCTRENI], aa88–113 [FGHISGGHINPAVTVAMVCTRKISIA] e aa252–275 [FCPDVEFKRRFKEAFSKAAQQTKG]) dimostrati nel, rispettivamente, 33%, 24% e 24% del siero di pazienti affetti da m. di Devic, secondo un criterio di mimetismo molecolare, potrebbe portare alla scoperta degli inneschi di tale malattia.


Data la natura autoimmune della NMO, nel 30% dei casi è associata ad altre malattie autoimmuni, compresa la malattia celiaca (18) (19), spesso presentandosi come unico sintomo, preesistente alla diagnosi (20) (21)

La presenza degli anticorpi anti Acquaporina-4, inoltre, è stata riscontrata in pazienti celiaci affetti da neuromielite ottica, positivi ad Ab anti Helicobacter Py. IgG (22), e infezioni da H. Pylori sono da considerarsi fattori di rischio per NMO con positività agli Ab anti-AQP4 (23).

Considerato il ruolo importante che questo batterio ha nell’innesco di una malattia celiaca, ulteriori studi in merito potrebbero condurre a sorprendenti risultati confermanti la connessione di quest’ultima con forme più o meno gravi di NMO.


CONCLUSIONI


E’ estremamente raro che il medico, ancor più lo specialista, davanti ad una patologia oculare che non sia di chiara e conclamata etiologia, pensi a ricercare una malattia infiammatoria intestinale, questo perché, nella visione super specialistica della medicina odierna, si tende ad escludere una approfondita anamnesi sistemica del paziente.

Ciononostante gli studi in letteratura consentono di affermare come questa associazione debba essere presa seriamente in considerazione ogniqualvolta ci troviamo di fronte a patologie oculari che, per modalità o per età d’insorgenza, impediscono di formulare diagnosi ed etiologie certe.

Nel 90% di questi casi la diagnosi di celiachia è casuale, e comunque viene posta anche a distanza di anni dalle prime manifestazioni oculari, con conseguente grave peggioramento dei sintomi e scarsa possibilità di recupero o di miglioramento.

Un approccio ai pazienti affetti da patologie oculari tramite una ricerca sistematica sull’HLA consentirebbe, nei casi positivi per una predisposizione genetica alla malattia celiaca, di instaurare, attraverso l’introduzione di una dieta priva di glutine, non solo una terapia, ma soprattutto una importante prevenzione delle conseguenze, spesso devastanti e irreversibili, che tali patologie comportano.


H. Pylori: studio comparativo tra metodiche diagnostiche e loro attendibilità

Si calcola che attualmente l’80% della popolazione mondiale sia venuta a contatto, almeno una volta nella vita, con l’ H. Pylori (HP), batterio microaerofilo gram -, munito di 4-6 flagelli, ricurvo o spiraliforme, isolato per la prima volta da Marshall e Goodwin nel 1987 dalla mucosa gastrica dei primati. La diffusione diretta interumana dell'infezione da HP può essere oro-orale e oro-fecale. La diffusione oro-orale è rappresentata dalla presenza nella mucosa gastrica dell'HP; il reflusso gastrico può raggiungere la cavità orale ed in particolare la placca dentaria e da qui con la saliva essere il veicolo di trasmissione. La diffusione oro-fecale è sostenuta dal continuo turnover della mucosa gastrica: la ripetuta eliminazione nell'intestino dell'HP proveniente dal succo gastrico e la capacità di sopravvivenza dell'HP nelle feci, da dove è eliminato nell'ambiente, rende l'acqua e il cibo contaminabili.


L'infezione da HP è stata associata con importanti disordini linfoproliferativi quali il linfoma gastrico non-Hodgkin(7), il MALT (Tessuto Linfoide Associato alla Mucosa gastrica)(1) ed il Carcinoma gastrico.(5)(4)(3)(2) Nel 92% dei campioni ottenuti da pazienti con linfoma gastrico, è stata accertata la presenza di HP.

L’interesse suscitato nel mondo medico dall’infezione da HP ha portato inoltre a postulare un suo ruolo in svariate altre patologie extra intestinali (6)(8)(10)(11), anche se al momento attuale viene accettata una sua relazione solo con la porpora trombocitopenica e con l’anemia sideropenica. (9)(10)(12)

La rilevanza epidemiologica e clinica delle patologie associate spiega l’ampio sviluppo di metodiche diagnostiche proposte per la sua identificazione, distinte in due grandi gruppi: invasive e non invasive.


METODICHE INVASIVE: Esofago-gastro-duodenoscopia (EGDS)


Istologia


Il riscontro della presenza di HP nel materiale bioptico è stato il primo criterio diagnostico. L’identificazione con la normale colorazione ematossilina eosina risulta agevolata con altre colorazioni, quali il Giemsa.

La non uniforme distribuzione del batterio sulle superfici gastriche richiede tuttavia, per un adeguato giudizio, che siano eseguite varie biopsie, con un minimo di due in sede antrale e due in sede di corpo – fondo.

Bisogna tener presente che la gastrite atrofica e la metaplasia

intestinale, che rendono meno facile la crescita dell’HP, riducono la densità dei batteri e ne modificano la distribuzione, fatto che determina la necessità di una ulteriore attenzione nella mappatura bioptica.

Anche il trattamento con inibitori della pompa protonica(PPI) causa una diminuzione della sensibilità di tale metodica, rendendo impossibile l’identificazione del batterio in circa un terzo dei casi.


Test all’ureasi


L’HP possiede una elevata attività ureasica, con conseguente

produzione di NH3 che produce un cambiamento del pH nel medium, rilevabile dal cambiamento di colore dell’indicatore acido-base (il più usato è il rosso fenolo). Questo ha portato alla sviluppo di alcuni

test che utilizzano vari sistemi di rivelazione del cambiamento di pH a diversi tempi di reazione. La sensibilità di tali metodiche, paragonate all’identificazione istologica, si pone poco al di sotto del 90% ed ha trovato ampio uso nelle sale endoscopiche.

Per i limiti della metodica, va sottolineato lo stesso problema riportato per la biopsia, legato alla distribuzione del batterio e all’eventuale uso di PPI.


Coltura


La relativa complessità e i costi superiori di questa metodica la rendono indicata solamente nei casi di ripetuti insuccessi della terapia eradicante in cui l’isolamento del batterio consente di saggiarne la sensibilità ai diversi antibiotici, per una terapia mirata. Va tenuta

primitivamente presente l’importanza di una corretta conservazione del campione in quanto l’HP può resistere per 24 ore in terreno di Stuart se conservato a 4°C, mentre la conservazione a temperature più elevate, anche solo 15°C, ne rende la vitalità assai bassa.

Esistono in letteratura dati ricavati dall’isolamento e coltura dei batteri in materiale diverso dalla mucosa gastrica (es. placca dentaria e feci) ma il cui significato e utilità rimangono dubbi. Questa metodica, che teoricamente ha una sensibilità del 100%, è tuttavia molto

influenzata dall’esperienza del singolo laboratorio microbiologico.

Un altro possibile vantaggio teorico di un accurato studio microbiologico consiste nella possibilità di distinguere i vari ceppi, con particolare riguardo al tipo I che esprime il fenotipo cagA, in grado

di produrre la citotossina vacuolizzante vacA. Tale ceppo è riconosciuto come il più virulento e maggiormente implicato nei danni alla mucosa.

Tuttavia, nella maggior parte delle situazioni cliniche, non viene ritenuta indispensabile la determinazione della virulenza

del ceppo, basandosi la terapia essenzialmente sul rilevamento

della presenza del germe.

Altre metodiche di biologia molecolare applicate su vari materiali (biopsie gastriche, feci, placca batterica dentale), pur dotate di alta sensibilità, non hanno trovato applicazione clinica per il loro costo e complessità.


METODICHE NON INVASIVE:


Tali metodiche hanno avuto sempre maggiore diffusione.

Infatti, negli ultimi anni il crescente numero di patologie riferite alla presenza di HP e la non costante associazione con un danno alla mucosa gastrica, molto spesso modesto o assente, ha indotto a ritenere non giustificabile in termini di costi e di rilevanza clinica

il ricorso ad endoscopie (Maastricht III Consensus report)(13)(14)


Sierologia


Numerosi test sierologici sono stati introdotti per l’identificazione dell’infezione da HP. Attualmente i più usati sono quelli basati su metodica ELISA la cui sensibilità è valutabile intorno all’80%. Va segnalata tuttavia la relativamente ampia zona grigia di negatività (circa 20%) e la difficoltà a distinguere una infezione in corso da una remota, fatto che ne limita l’utilità nel monitoraggio dell’efficacia della terapia eradicante.

I test sierologici conservano tuttavia un ruolo importante nelle situazione in cui gli altri test sia invasivi che non invasivi dimostrino una minor sensibilità.

In particolare l’indagine sierologia è tuttora indicata in

soggetti in trattamento con PPI, con ulcera peptica sanguinante,

con gastrite atrofica o MALT linfoma. La ricerca su siero o su saliva di anticorpi anti HP trova inoltre impiego nella diagnostica in età pediatrica.


Urea Breath Test C13 (UBT)


Questo test, ampiamente usato nella pratica clinica, è di relativa semplicità e con le metodiche più recenti consente l’esecuzione in tempi rapidi.

Infatti la raccolta del campione di aria espirata dopo l’assunzione di urea-C13 può essere limitata ad un solo campione, oltre a

quello di base, dopo 30 minuti.

Ormai innumerevoli studi ne hanno confermato l’alta sensibilità e specificità riportate intorno al 95%.

Poiché il test è dipendente dall’attività ureasica presente

a livello delle prime vie, esso è da una parte influenzato,

in maniera irrilevante, dalla presenza di altri batteri con simile attività metabolica presenti nel cavo orale o nello stomaco, e in maniera assai più importante, dal numero di batteri HP presenti nello stomaco.

Ciò spiega il confermato rilievo di una caduta di sensibilità

di circa il 30 % nei soggetti HP positivi in corso di trattamento con farmaci inibitori di pompa protonica.

In queste circostanze la ri-positivizzazione del test richiede circa 14 giorni di sospensione dal farmaco. In modo analogo la sensibilità cala in altre situazioni in cui la densità del batterio nella mucosa gastrica diminuisce, come nella gastrite atrofica e talora in corso di MALT linfoma. Una possibilità di aumentare la potenza del test consiste nell’introduzione, assieme all’urea marcata, di sodio citrato, che induce un aumento dell’attività ureasica.

Situazioni cliniche che riducono l’utilizzazione del test sono legate principalmente a scarsa collaborazione del paziente (bambini, anziani,

altre situazioni psiconeurologiche)


Ricerca antigene fecale (HpSa)


Il basso costo, la facilità di impiego, l’eseguibilità della raccolta a domicilio, hanno progressivamente diffuso l’impiego di questa metodica. Si basa su metodi di immunoassay policlonale o, più recentemente, monoclonale.

La sua sensibilità e specificità sono solo modestamente inferiori a quella dell’UBT, rispettivamente del 91 e 93% (review di 89 studi). È tuttavia da sottolineare l’importanza di una corretta raccolta e conservazione del campione in quanto la sensibilità del test cala

al 69% se il campione viene tenuto a temperatura ambiente

per 48-72 ore.

Come per l’UBT, la positività per HpSa può essere influenzata da emorragie in corso del tratto gastroenterico, dalla presenza di gastrite atrofica o dall’uso di farmaci inibitori di pompa protonica.

Le limitazioni di impiego del test, oltre a quanto appena citato, possono risiedere in tutte quelle circostanze che rendano difficoltosa la raccolta del campione di feci.


OBIETTIVO:


Scopo di questo lavoro è verificare l’attendibilità delle attuali metodiche diagnostiche comunemente utilizzate per la ricerca dell’HP vs un’indagine sierologica mediante Western Blotting.


METODO:

Sono stati analizzati 41 pazienti, 10 di sesso maschile e 31 di sesso femminile, di età compresa tra i 21 e gli 86 anni, venuti alla nostra osservazione per disturbi dispeptici, già indagati precedentemente con una o più EGDS, HpSa e UBT, risultati H.Pylori negativi, in cura con IPP e/o antiacidi e 14 pazienti, 5 di sesso maschile e 9 di sesso femminile, di età compresa tra i 31 e i 76 anni, con un precedente test positivo all’HP, a seguito del quale era stata prescritta una terapia eradicante, con conferma successiva di negativizzazione dell’HP mediante UBT.

(Tab.1)


EGDS BT Ag feci Totale

H.Py - 38 2 3 43

H.Py + 11 1 0 12

Totale 49 3 3 55

Tab.1: Positività per Helicobacter Pylori con le diverse metodiche di ricerca


Data la grande variabilità soggettiva dei sintomi accusati, per la scelta del gruppo da esaminare è stata presa in considerazione la triade gastralgia/reflusso GE /pirosi gastrica che accomunava tutti i pazienti studiati. A tutti i pazienti è stato ricercato l’HP tramite metodica Western Blotting su siero.


RISULTATI:


Il 63% dei pazienti che ai test di routine erano stati dichiarati negativi all’HP, risultarono positivi alle citotossine CagA e/o VacA IgG, 14 dei quali positivi anche per le IgA.

15 pazienti risultarono positivi alla UreA, subunità ureasica leggera di 29kD altamente specifica; 5 pazienti risultarono negativi all’HP.


Dei 18 pazienti che, malgrado la terapia eradicante, manifestavano ancora la triade sintomatologica suddetta, 16 (90%) risultarono ancora positivi alle citotossine CagA e/o VacA, 7 dei quali anche alle IgA; 1 paziente presentava l’UreA; 1 paziente era negativo all’H.P. (Tab.2-3)


Western Blot per Helycobacter Pylori Ab IgG


H.Py + H.Py -

CagA 11 27

VacA 6 15

Ureasi 8 15

Altro 5 18


Tab 2: Ab specifici per IgG Helicobacter Pylori nei gruppi con pregressa positività o negatività all’ Helicobacter Pylori (valori assoluti)


H.Py + H.Py -

CagA 92% 63%

VacA 50% 35%

Ureasi 67% 35%

Altro 42% 42%


Tab 3: Ab specifici per IgG Helicobacter Pylori nei gruppi con pregressa identificazione o assenza di Helicobacter Pylori (valori percentuali)


DISCUSSIONE:


Le attuali linee guida per la ricerca dell’HP, l’eradicazione e i test di conferma della stessa, si basano ancora sulle indicazioni del “Maastricht 2-2000 Consensus Report”(16), che prevede l’UBT e l’HpSa come indagini diagnostiche preferenziali, ed eventualmente l’EGDS laddove se ne riscontrino le indicazioni, ad esempio in caso di apparente refrattarietà alla terapia eradicante.

Eppure nessuna di queste tecniche, a tutt’oggi, si rivela essere abbastanza specifica per ottenere, in tempo reale, una diagnosi di infezione da H. Pylori.(15)



L’istologia comporta un’alta probabilità di mancata diagnosi, per la modalità di colonizzazione della mucosa gastrica da parte del batterio, “a macchia di leopardo”, che ne limita l’attendibilità. E’ perciò un’esame che trova il suo utilizzo specifico solo come analisi dello stato della mucosa.

l’Urea Breath Test e la biopsia in corso di EGDS si basano sull’attività ureasica del batterio, assente nei ceppi di HP produttori di citotossine.

Esistono, infatti, due fenotipi di H. Pylori:

Tipo I: CagA+/VacA+, in grado di produrre la citotossina VacA e la proteina CagA

Tipo II: CagA-/VacA-, incapace di esprimere le due proteine.

La proteina di superficie di circa 130 kDa, espressa dal Gene CagA, presente nel 60% dei ceppi, è da tempo considerata tra i principali immunodominanti del batterio (20); gli anticorpi anti citotossina vacuolizzante, VacA, di 95kD, sono presenti nel 100% dei sieri di pazienti infetti da HP che manifestano l'ulcera peptica e nel 62% dei pazienti sofferenti di gastrite; le due citotossine sono associate a comparsa di ulcera duodenale, gastrite cronica atrofica, adenocarcinoma gastrico e stimolano la produzione di IL8, importante fattore chemiotattico per i linfociti impegnati nell'evoluzione del processo infiammatorio.(21)

Quindi la ricerca sierologica dell’HP, tramite metodica ELISA, che non riesce a testare pesi molecolari superiori a 60kD, l’UBT e la biopsia in corso di EGDS risulteranno falsamente negativi proprio nei casi di maggior patogenicità del batterio


Ne consegue che i pazienti maggiormente a rischio di sviluppare complicanze importanti dell’infezione, che non si limitano all’ambito gastro-enterico, come abbiamo già sottolineato precedentemente, ma prevedono anche patologie interessanti altri organi, quali tiroide, pancreas, vie biliari etc.., non ricevano terapie adeguate, ma vengano classificati spesso come “funzionali” e, come tali, trattati con blandi farmaci sintomatici, quand’anche con terapie di supporto psicologico.


Nel campione analizzato, infatti, la ricerca tramite Western Blot ha evidenziato la presenza delle due citotossine in 13 su 18 pazienti con gastrite ulcero/erosiva e in 20 pazienti su 26 portatori di Gastro-Duodenite Cronica. (Tab.8)

Il mancato riconoscimento dell’infezione porta, in ultima analisi, ad una cronicizzazione della patologia, con grave disagio del paziente e con tutte le deleterie conseguenze derivanti che gravano, anche in termini economici, sul SSN.


CONCLUSIONI:


Il nostro studio dimostra come la ricerca sierologica dell’H. Pylori tramite metodica Western Blotting sia l’unico esame veramente sensibile, altamente specifico, per nulla invasivo, potendosi applicare anche a pazienti in età infantile, e relativamente poco costoso confrontato con le altre metodiche analizzate.

Risulta incomprensibile come questa metodica d’indagine non venga mai presa in considerazione, nella maggior parte dei casi non è neppure conosciuta dai medici del nostro SSN, pur essendo, da una revisione accurata della letteratura internazionale, la metodica maggiormente riferita nei più recenti lavori pubblicati in merito.(22..33)



BIBLIOGRAFIA


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2- Characteristics of Helicobacter pylori-positive and Helicobacter pylori-negative gastric mucosa-associated lymphoid tissue lymphoma and their influence on clinical outcome.

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SINTOMI DISPETICI: studio osservazionale su un campione di pazienti

PREMESSA

La dispepsia, dal greco δυσπεψία, composto di "δυσ-" (dys) = "difficile" e "πεψία" (pepsis) = "digestione", è un insieme di sintomi, variabili da individuo a individuo, associati, come dice il termine stesso, a difficoltà digestive. I sintomi variano da semplice senso di pesantezza e sonnolenza post prandiale, a bruciori, dolori epigastrici, rigurgiti, reflusso gastro esofageo, e possono essere accompagnati o meno da gonfiore, eruttazioni e senso di sazietà alla minima introduzione di cibo.

Una cattiva digestione può capitare a tutti, nel corso della vita, a prescindere da patologie sottostanti, quando, ad esempio, si introducono alimenti particolarmente laboriosi da digerire, vedi fritti o grassi, o a seguito di cattive abitudini alimentari, il classico fast food nella pausa lavorativa. Ma quando il disturbo si manifesta quotidianamente, seppur con particolari attenzioni dietetiche, e diventa cioè cronico, è doveroso approfondire la ricerca di una causa che vada al di là della qualità dell’alimentazione, dello stress o dei fattori psicologici, bisogna, cioè, pensare ad una causa scatenante.


METODOLOGIA

In questo studio sono stati analizzati 115 pazienti, di età compresa da 2 a 89 anni, 26 maschi e 89 femmine, giunti alla nostra osservazione per disturbi dispeptici insorti da almeno sei mesi prima, i quali, dopo una serie di analisi precedenti (test allergologici, cutanei e sierologici) avevano eliminato dalla loro dieta gli alimenti “imputati” essere la causa della loro sintomatologia e, nonostante questo e l’assunzione di farmaci sintomatici (anti acidi, IPP etc..) non avevano avuto miglioramenti duraturi nel tempo. La tipica frase di queste persone era “non so più cosa mangiare..”

Su 115 pazienti, 72 (63%) erano stati indagati tramite esofagogastroduodenoscopia (EGDS), con i più svariati referti, dalla normalità all’ulcera duodenale, con reperti di ernia jatale, gastrite cronica, iperemica, metaplasia intestinale parziale o completa. Ma in tutti i 72 pazienti la biopsia gastrica risultava negativa per la ricerca dell’Helicobacter Pylori, per cui a tutti i 115 pazienti (100%) erano stati prescritti solo i classici farmaci sintomatici (procinetici, anti acidi, inibitori di pompa protonica).

Seguendo la metodologia della nostra scuola, basandoci, cioè, sul nostro modello di malattia cronica, abbiamo prescritto a tutti i pazienti di questo studio una ricerca dell’unico batterio in grado di sopravvivere al ph acido gastrico, a parte la Salmonella, e in grado di provocare la sintomatologia dispeptica in causa, l’Helicobacter Pylori, mediante un western blotting, ricercando sia le IgA che le IgG.


RISULTATI

Inaspettatamente, dei 115 pazienti analizzati, solo 66 (58%) presentavano positività all’H. Pylori , 57 dei quali (87%) con presenza delle citotossine CagA e VacA, i restanti 9 solo frazioni ureasiche (UreA, p.26, 30, 33, 17, 19). Non riscontrando, quindi, una completa conferma ai nostri sospetti, abbiamo sottoposto tutti i pazienti in studio all’analisi dell’HLA DQ e DR, alla ricerca di una possibile celiachia e/o una gluten sensitivity, riscontrandola nel 100% dei casi con western blot negativo per l’H. Pylori, nonché nel 52% dei pazienti già positivi all’H. Pylori.


DISCUSSIONE

Scopo di questo lavoro è la ricerca di una causa scatenante sintomi dispeptici in pazienti che lamentavano tali disturbi da almeno sei mesi. Il primo sospetto diagnostico si è basato sulla ricerca dell’H. Pylori, data la sintomatologia prettamente gastrica, batterio che è stato riscontrato, infatti, in più della metà dei pazienti analizzati.

Come già evidenziato in un precedente lavoro, la biopsia in corso di EGDS così come l’Urea Breath test si dimostrano essere analisi incomplete e insufficienti per dimostrare un’infezione da H. Pylori in pazienti che lamentano sintomi dispeptici, essendo analisi basate sulla produzione di Ureasi da parte del batterio, sfuggendo quindi all’analisi i genotipi di H. Pylori producenti citotossine (CagA e VacA).

Ma la considerazione nuova che emerge da questo studio è il riscontro di celiachia in tutti i casi con H. Pylori negativo, nonché nell’52% dei casi H. Pylori positivi.


CONCLUSIONI

Una sintomatologia dispeptica deve sempre far sospettare un’infezione da H. Pylori, in primis, poiché troppo spesso viene data importanza soprattutto all’alimentazione, per cui si va alla ricerca con test di dubbia specificità e interpretazione, a possibili intolleranza o allergie a cibi, regolarmente eliminati dalla dieta con scarsi se non nulli risultati. Qualora, poi, i test di intolleranza risultino negativi, si catalogano i pazienti come “funzionali” senza neppure sospettare una causa infettiva ben precisa alla base.

Anche qualora, poi, si sospetti un agente infettivo responsabile ci si avvale di indagini costose e non dirimenti, limitando così la possibilità di una diagnosi etiologica corretta.

Dai risultati di questo studio preliminare si è però evidenziato come la dispepsia non sia sempre causata da un agente infettivo, può essere semplicemente un segnale forte di intolleranza o di allergia al glutine. Per cui in tutti i pazienti che manifestano da medio-lungo termine sintomi dispeptici andrebbero ricercati gli alleli della malattia celiaca (DR3/DR7 DQ2; DR4 DQ8; DR5 DQ7) o di una gluten sensitivity (presenza di una sola catena DQ2 e/o assenza di Ab anti transglutaminasi).


Quest’ultima, lungi dall’essere una “moda”, come in tanti articoli ormai viene tacciata, colpa di esponenti dello star system che si auto prescrivono una dieta priva di glutine (GFD) per motivi dietetici o pseudo salutistici, è sempre di più frequente riscontro, e va affrontata con la dovuta serietà. Se infatti per i pazienti riscontrati celiaci e positivi all’H. Pylori, quest’ultimo potrebbe essere l’innesco infettivo scatenante, per quelli non H. Pylori positivi dovranno essere ricercate le cause scatenanti possibili, perché solo negativizzando queste, unitamente alla GFD, si otterrà una completa e soprattutto permanente regressione dei sintomi.



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The high prevalence of celiac among dyspeptic symptomatic individuals indicates that they are a higher risk group for developing celiac disease. Undiagnosed celiac disease may be inferred by endoscopic markers of duodenal villous atrophy. Endoscopic findings, however, may be inadequate to suitably diagnose this disease and consequently the incorporation of diagnostic serologic assays of celiac disease in routine testing for dyspepsia is strongly recommended.


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CONCLUSIONS:

Additional endoscopic markers are valuable for diagnosis in patients with clinical symptoms suggestive of celiac disease. In contrast, endoscopic markers of villous atrophy are not useful for selecting a subgroup of dyspeptic patients for screening for celiac disease by duodenal histological assessment. These patients should be screened using other protocols.


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CONCLUSIONS:

Clinical presentation of celiac disease was not distinguishable from cases infected with Helicobacter pylori. Histology, even in patients with positive serology, was non-specific and unhelpful. We found a high prevalence of Helicobacter pylori infection and chronic gastritis, but neither was associated with celiac disease, in agreement with studies in Western populations.


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CONCLUSIONS:

Celiac disease in this patient population had a high prevalence. Further studies with larger sample sizes are needed to confirm the relation between dyspepsia and celiac disease


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CONCLUSION:

This prospective study showed that CD has a high prevalence (1:48) in adult dyspeptic patients and suggests the routine use of duodenal biopsy in this type of patient undergoing EGD.


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Rostami Nejad M1, Dabiri R2, Ehsani-Ardakani MJ2, Nazemalhosseini Mojarad E2, Derakhshan F2, Telkabadi M2, Rostami K3.

CONCLUSION:

The results of this study showed that milder enteropathy (Marsh 0-II) have a low specificity for CD. The prevalence of CD among dyspeptic individuals is significantly (2.5%) higher than in the general population (1%) and CD should be investigated in these patients.


Rivista “Omoios” Anno 2015

Helicobacter Pylori: studio comparativo tra metodiche diagnostiche e loro attendibilità.


G. Bardellini; A, VillellaPREMESSA

La dispepsia, dal greco δυσπεψία, composto di "δυσ-" (dys) = "difficile" e "πεψία" (pepsis) = "digestione", è un insieme di sintomi, variabili da individuo a individuo, associati, come dice il termine stesso, a difficoltà digestive. I sintomi variano da semplice senso di pesantezza e sonnolenza post prandiale, a bruciori, dolori epigastrici, rigurgiti, reflusso gastro esofageo, e possono essere accompagnati o meno da gonfiore, eruttazioni e senso di sazietà alla minima introduzione di cibo.

Una cattiva digestione può capitare a tutti, nel corso della vita, a prescindere da patologie sottostanti, quando, ad esempio, si introducono alimenti particolarmente laboriosi da digerire, vedi fritti o grassi, o a seguito di cattive abitudini alimentari, il classico fast food nella pausa lavorativa. Ma quando il disturbo si manifesta quotidianamente, seppur con particolari attenzioni dietetiche, e diventa cioè cronico, è doveroso approfondire la ricerca di una causa che vada al di là della qualità dell’alimentazione, dello stress o dei fattori psicologici, bisogna, cioè, pensare ad una causa scatenante.